sabato 6 febbraio 2016

Per una metafisica e politica del genere

Una cosa spiacevole che alcune persone trans e queer (tra cui io) sperimentano è che è più facile trovare persone etero cis che riconoscano la loro identità di genere ed adoperino il nome che hanno scelto, di persone trans, molte delle quali si abbarbicano al sesso ed al nome anagrafico.

La spiegazione che viene data è che occorre convincere queste ultime persone di essere davvero "trans", e per costoro "trans" è la persona che prova "disforia di genere". Chi non la prova non è degno di essere definito trans.

Questa posizione viene spregiativamente definita "transfondamentalismo", mentre le persone trans che sentono la nostalgia, più che la disforia, di genere si autodefiniscono "trucute"; credo però che la cosa migliore da fare non sia ricorre agli epiteti, ma alle definizioni filosofiche.

Io sono stat* iscritt* al Partito Comunista Italiano; ora ripudio il marxismo come ideologia politica (il socialismo è fallito economicamente e politicamente è stato irrimediabilmente oppressivo), ma alcuni presupposti metafisici del marxismo li ho conservati.

Per esempio, il rifiuto dell'essenzialismo:
L'uomo, agendo sul mondo esterno e modificandolo, modifica nello stesso tempo anche la propria natura. Sviluppa i suoi poteri assopiti e li costringe ad obbedire ai dettami del suo dominio. (Il Capitale / Karl Marx)
Prima ancora:
Come gli individui esternano la loro vita così essi sono. Ciò che essi sono coincide dunque immediatamente con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. (L'ideologia tedesca / Karl Marx)
E più avanti:
Il problema di cos'è l'uomo è dunque sempre il così detto problema della “natura umana”, o anche quello del così detto “uomo in generale”, cioè la ricerca di creare una scienza dell'uomo (una filosofia) che parte da un concetto inizialmente “unitario”, da un'astrazione in cui si possa contenere tutto l' “umano”. Ma l' “umano” è un punto di partenza o un punto d'arrivo, come concetto e fatto unitario? O non è piuttosto, questa ricerca, un residuo “teologico” e “metafisico” in quanto posto come punto di partenza? La filosofia non può essere ridotta a una naturalistica “antropologia”, cioè l'unità del genere umano non è data dalla natura “biologica” dell'uomo; le differenze dell'uomo, che contano nella storia non sono quelle biologiche (razze, conformazione del cranio, colore della pelle ecc.; e a ciò si riduce l'affermazione “l'uomo è ciò che mangia”) (…). 
Che la “natura umana” sia il “complesso dei rapporti sociali” è la risposta più soddisfacente, perché include l'idea del divenire: l'uomo diviene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e perché nega “l'uomo in generale” (…). Si può anche dire che la natura dell'uomo è la “storia” (…) se appunto si dà a storia il significato di “divenire”, in una “concordia discors” che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile: perciò la “natura umana” non può ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del genere umano (…)  (Quaderni del carcere / Antonio Gramsci // Quaderno 7, § 35, p. 884).
Questo stesso rifiuto dell'essenzialismo si ritrova anche nel pensiero di Judith Butler (vedi qui), per cui il genere è "performativo": noi ci comportiamo come se esistesse, e così lo rendiamo reale.

Si tratta di un filone già presente nel pensiero ebraico (Butler e Marx sono ebrei; il marxista Gramsci aveva sposato un'ebrea), ed espresso (per cominciare) nel famoso midrash:
"Se voi siete miei testimoni, io sarò il vostro Dio, oracolo del Signore [cfr. Isaia 43:12] - se non siete miei testimoni, per così dire, non sarò il Signore" (Midrash Tehillim, commento al Salmo 123:1 - con paralleli in Pesiqta d'Rav Kahana e Mekhilta).
Dio non è qui un oggetto ideale (come nella teologia cristiana), ma un oggetto sociale, la cui esistenza dipende dal riconoscimento di chi vuol farsene testimone, con la parola e l'azione (vedi anche qui).

Il presupposto dei "transfondamentalisti" è invece che ogni persona abbia un'essenza immutabile, e di codest'essenza faccia parte l'identità di genere; una parte influente del movimento gay condivide il presupposto, e ritiene che dell'essenza faccia parte l'orientamento (mono)sessuale.

Mentre io argomento l'illiceità delle terapie riparative sul fatto che pretendono di correggere o sopprimere ciò che non nuoce a nessuno (non esistono infatti identità di genere ed orientamenti sessuali nocivi od erronei), e sono quindi un irragionevole attentato al diritto all'espressione di sé (marxianamente e gramscianamente, la natura umana consiste in come uno si esprime, agendo e parlando), gli essenzialisti argomentano che tali terapie disconoscono la loro più profonda essenza, e vanno per questo bandite.

Sarebbero anche punti di vista compatibili, se non fosse che impongono diversi atteggiamenti verso chi adotta un'identità di genere diversa dal proprio sesso anagrafico. La persona "transfondamentalista" parte dal presupposto che il sesso anagrafico esprima una qualità essenziale della persona fino a prova contraria, e chi vuole "transizionare" deve offrire la prova contraria.

Il "trucute", ovvero il "queer" od il "costruttivista" che si ispira a Marx, Gramsci, Butler, risponde che il genere è un ruolo sociale, ovvero uno dei modi che uno sceglie per esternare la propria vita ed influire sulla realtà sociale.

Non ha alcuna relazione con l'essenza di una persona, e quindi non c'è prova da fornire. La persona che sceglie un genere inadatto a sé si mette nella situazione di chi, senza braccia né mani, si iscrive ad un torneo di scherma - se non trova il modo di impugnare la lama, non vincerà, e questa sarà la sua pena. Non c'è bisogno di uno scrutinio preventivo.

Alcuni paesi, come Argentina, Irlanda e Malta, consentono ad una persona di cambiare genere anagrafico per semplice dichiarazione di volontà - adottando quindi il paradigma "costruttivista" o "trucute"; altri come l'Italia esigono ancora un'indagine medica - rimanendo attaccati al paradigma "essenzialista" o "transfondamentalista".

Sarebbe necessario portare anche l'Italia nei paesi del primo paradigma.

Raffaele Yona Ladu