sabato 1 agosto 2015

Contro Chiara Giaccardi




[4] SSOGIEs

Alcune persone del Gruppo del Guado hanno molto apprezzato l'articolo [1], che mi ha invece lasciato perplesso.

Se è pregevole che l'autrice ricordi che non si può appiattire il genere sul sesso, e che nemmeno Judith Butler vuole dichiarare l'irrilevanza del sesso biologico, d'altronde l'autrice si sente obbligata a sostenere il binarismo dei sessi e dei generi, con le conseguenze spiacevoli che si possono trarre soprattutto da questo brano, su cui si concentra la mia critica:
A fronte di una 'idolatria dell’io' che, come riconosceva Hannah Arendt, a partire dalla modernità ha preferito scambiare ciò che ha ricevuto come un dono con qualcosa che ha fabbricato con le proprie mani, un discorso sul 'gender' oggi dovrebbe uscire dall’opposizione natura-cultura (siamo naturali e culturali in quanto umani) e spostarsi sul piano simbolico. Contro l’illusione idolatrica e tecnocratica di trovare il termine che esprime esattamente, senza resto, ogni sfumatura possibile della nostra identità sessuale, come i 56 profili di 'gender' proposti da Facebook, dovremmo riaprirci alla parola simbolica, capace di ospitare in sé un’apertura, una gamma inesauribile di possibilità espressive (quali la femminilità e la mascolinità, nella loro dualità), e soprattutto una relazionalità costitutiva: la mia identità di genere nasce dall'incontro delle differenze e si è costruita nella relazione con altri, concreti come me. In un movimento di apertura e scoperta che si chiama libertà: nella gratitudine per quanto ricevuto, nella relazionalità del legame, nella consapevolezza che non siamo mai liberi dai condizionamenti culturali eppure abbiamo la capacità di non esserne completamente succubi, se solo evitiamo di aderire ottusamente al dato di fatto. 
Non ho letto l'opera di Hannah Arendt "Vita Activa" a cui fa riferimento Chiara Giaccardi, ma credo che il problema non sia l'esattezza del riferimento, bensì la sua appropriatezza. L'"idolatria" si definisce in contrapposizione alla "rivelazione", e consiste nell'attribuire status divino a ciò che non lo merita, nonché nel privare del giusto onore ciò che ha per rivelazione divino status.

In una parola, per Chiara Giaccardi mascolinità e femminilità hanno status divino, le altre possibili identità di genere non ce l'hanno - ed idolatra chi risponde con gli argomenti di [2] e [3].

Inoltre, si può ritorcere contro Chiara Giaccardi un argomento che lei usa: lei dice che "dovremmo riaprirci alla parola simbolica, capace di ospitare in sé un’apertura, una gamma inesauribile di possibilità espressive" - e sarei anche d'accordo.

Ma lei dice che si deve far questo "[c]ontro l’illusione idolatrica e tecnocratica di trovare il termine che esprime esattamente, senza resto, ogni sfumatura possibile della nostra identità sessuale, come i 56 profili di 'gender' proposti da Facebook".

Se noi applicassimo questo ragionamento ai colori, nessun grafico e nessun tipografo riuscirebbero più a lavorare, perché sarebbero obbligati a sostituire alle determinazioni "idolatriche e tecnocratiche" delle tonalità di colore (temperatura Kelvin, colore Pantone, RGB, CYMK, ecc.) delle "parole simboliche" che, proprio perché "capaci di ospitare in sé un'apertura, una gamma inesauribile di possibilità espressive", non danno alcuna indicazione operativa su come comporre il colore che deve apparire sullo stampato o sullo schermo.

Non si pretende che la sessuologia raggiunga questo grado di precisione, ma è molto significativo che, pur di mantenere la "divina" supremazia della mascolinità e della femminilità, si voglia impedire ogni progresso in questo campo.

Galileo non si sta rivoltando nella tomba, sta ridendo come un pazzo.

Per quanto riguarda i "56 profili di 'gender' proposti da Facebook", o le etichette che compongono la sigla LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bi, Trans, Queer, Intersessuali, Asessuali, ecc.), vedo che Chiara Giaccardi è caduta in un equivoco in cui non dovrebbe cadere nessuna persona che abbia militato almeno per un autunno ed una primavera in un'associazione SSOGIE.

Questi "profili" e "queste" etichette non pretendono di descrivere la natura (o, peggio ancora, l'essenza) delle persone, ma semplicemente di indicare ognuna un diverso modo in cui tali persone sono oppresse.

Il progresso sociale porta alla luce nuovi tipi di oppressione di cui non si aveva prima coscienza (è il caso degli intersessuali e degli asessuali, per esempio), e rende sempre più evidenti le sottili differenze tra i diversi tipi di oppressione (questo spiega perché prima si parlasse solo del movimento gay, poi di quello gay e lesbico, poi si sono aggiunti nell'ordine quello trans e quello bi), oppure dà il via a nuovi modi di combattere l'oppressione (il movimento queer è soprattutto questo).

Perché le organizzazioni SSOGIE continuano ad usare la sigla LGBTQIA+, che è già molto lunga, ed ammette con il "+" che potrebbe allungarsi ancora? Come ho spiegato in [4], per dimostrare di avere piena coscienza dell'articolazione dei soggetti che ne fanno parte, ovvero del fatto che le differenze tra di loro, anziché impedire una lotta comune, la rendono indispensabile.

È ovvio che queste etichette non possono descrivere nessuna persona in modo esauriente, ma hanno un carattere politico, non ontologico. Eliminate l'oppressione delle minoranze sessuali (cosa che chi sostiene il divino status di femminilità e mascolinità non vuol certo fare), e queste etichette diverranno obsolete.

Raffaele Yona Ladu
Orgogliosamente ebreo
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale

lunedì 20 luglio 2015

L'operazione non serve più


L'Italia è ora un paese più civile. Non si è ancora arrivati ad una normativa maltese (in cui basta recarsi da un notaio per ottenere il cambio di genere anagrafico), ma intanto la Cassazione ha dichiarato non necessario l'intervento chirurgico.

Raffaele Yona Ladu
Lesbica pene-positiva

martedì 14 luglio 2015

Trans Isacco







Devo ammettere una volta di più di essere un dilettante in queste cose, e che le poche cose che scopro sono solo una frazione di quelle che ci sono da imparare.

Ho intitolato il blog "Tunica sfiziosa" pensando che il primo personaggio biblico trans fosse Giuseppe, ma lo Zohar ci informa che trans era suo nonno Isacco.

Riassumendo quello che è scritto in [1], tutto parte dal presupposto che esistono anime maschili ed anime femminili - a dire il vero, secondo lo Zohar, sono create a coppie maschio-femmina, ma quando entrano nei loro corpi si separano l'una dall'altra, ed il compito più importante per entrambe è ritrovarsi, riconoscersi e riunirsi nel matrimonio.

È sempre vero che un'anima maschile entra solo in un corpo maschile, ed una femminile in un corpo di donna? È la situazione ideale, ma il gioco delle reincarnazioni può sovvertirla.

Secondo Yitzchaq Luria (1534-1572) e Chayim Vital (1542-1620), che condividevano con il Codice di Santità del Pentateuco l'attenzione esclusiva ai rapporti anali tra uomini, la punizione per questi rapporti (ed altre trasgressioni simili, ma non meglio precisate) è per il maschio colpevole reincarnarsi in una donna.

Questa donna non diventa un "maschiaccio", ma sconta le colpe della sua vita passata con la sterilità, in quanto manca la complementarietà a livello di anime (di "identità e ruolo di genere", sono tentato di tradurre) che consente la fecondazione.

Luria e Vital sembrano credere che, come l'uomo emette liquido seminale (qui chiamato "Mayin Dukhrin = Acque maschili") durante il rapporto, così i fluidi corporei femminili ("Mayin Nukvin = Acque femminili") emessi nella medesima occasione sono fondamentali per il concepimento.

Va precisato che quella che nell'antichità era una credenza medica in Luria e Vital è diventata una realtà spirituale: sono le anime che emettono questi fluidi; ma se ambedue le anime sono maschili, il concepimento non può avvenire.

Come si risolve il problema? La donna in questa situazione deve accumulare tanti meriti da meritare l'"ibur = fecondazione" da parte di un'anima femminile, che entrerà in lei e si affiancherà all'anima maschile che già possiede.

Quest'anima ospite crea la complementarietà che consente il concepimento, e lei approfitterà della nuova nascita per reincarnarsi nella bimba.

Come si fa ad essere sicuri che sarà una bimba? Per prima cosa, il Talmud dice che se l'uomo è il primo a venire, verrà concepita una femmina; se è la donna la prima a venire, verrà concepito un maschio.

In questa situazione, le anime dei coniugi sono entrambe maschili, quindi non c'è rischio che venga per prima un'anima femminile; inoltre, l'anima femminile che si è unita a loro lo fa per procurarsi un corpo femminile in cui reincarnarsi. Non meritando ella una punizione, quel corpo le viene dato.

Questa è la spiegazione (non molto lusinghiera per il gentil genere, lo ammetto) del perché ci sono donne che generano solo figlie femmine.

Ma l'ultima parola in materia non l'hanno detta Luria e Vital: se costoro erano sicuri che non potesse mai capitare ad una donna di [re]incarnarsi in un corpo maschile, un famoso rabbino, Shmuel Bornsztain (1855-1926), riprese l'insegnamento dello Zohar, secondo cui questo era capitato ad Isacco figlio di Abramo e Sara, padre di Giacobbe ed Esaù.

Non ho letto direttamente la sua opera Shem MiShmuel, mi devo perciò fidare del riassunto che ne dà [2]; la vicenda sembra abbastanza lineare, e comincia con le irriverenti risate di Sara.

Secondo rav Bornsztain, era strano che gli angeli del Signore dicessero che Sara, e non Abramo, avrebbe avuto un figlio (Genesi 18:10); questo insospettì Sara, che capì che l'anima di Isacco sarebbe venuta dal mondo femminile, anziché maschile.

Quell'annuncio le parve una beffa atroce, perché lei sapeva [lo avrebbe poi esplicitato lo Zohar] che le persone in cui l'anima ("identità di genere") ed il corpo ("sesso biologico") divergevano erano sterili - era questo il modo in cui Dio manteneva la promessa di fare di Abramo il padre di una moltitudine (Genesi 17:4)?

Questo è solo uno dei numerosissimi commenti, ebraici e cristiani, al riso di Sara; tornando ad Isacco, secondo lo Zohar, il momento della verità giunse quando lui fu legato da Abramo sul Monte Moria su preciso ordine dell'Eterno.

Che fece l'Eterno? Secondo la Bibbia, scambiò un montone con Isacco; secondo lo Zohar, scambiò la preesistente anima femminile con una maschile - Isacco, [redi]vivo e mascolinizzato, potè quindi sposare Rebecca (guarda caso, Genesi 22:23 parla solo ora della nascita di costei - era l'anima femminile creata in coppia con quella maschile di Isacco), e continuare la stirpe.

[2] continua spiegando che le anime maschili e le anime femminili hanno diverse doti - e che Isacco potè esprimere entrambe durante la sua vita: prima della legatura ('aqedat Yitzchaq) la sua fede era passiva, in quanto cercava la vicinanza di Dio e di venirne illuminato il più possibile; dopo divenne attiva ed impegnata a migliorare il mondo.

Questa dicotomia non mi piace molto, perché è ovvio che qui prima si è scelta "la parte buona" (cfr. Luca 10:42) e poi la si è attribuita al genere maschile; l'unico argomento a discapito è che sono doti utili in ogni persona, ed in ogni anima ci sono elementi "maschili" e "femminili".

Uno si potrebbe chiedersi: "E come si fa a cambiare l'anima ad una persona senza che ella muoia?"

La risposta la danno [3], [4], [5], [6]: a dispetto della Bibbia, diversi midrashim sono convinti che Isacco fosse veramente morto sul Monte Moria, e l'Eterno lo avesse risuscitato (e mica subito! Dopo tre anni!). L'interpretazione tipologica cristiana (Ebrei 11:17-19) della Legatura di Isacco (Genesi 22) come prefigurazione della Crocefissione di Gesù trova qui la sua base.

Perché mi sono divertito a parlare di queste cose? Per mostrare che i "no-gender" stanno togliendo la fantasia non solo alla vita sessuale, ma anche a quella religiosa.

L'idea che Isacco possa aver avuto due anime in successione, e che la sua individualità fosse data dal solo corpo che le ospitava entrambe sfida il comune raziocinio teologico (per cui l'individualità di una persona è data dalla combinazione di anima e corpo), ma non è altro che la conseguenza estrema del credere nella versione cabalistica della reincarnazione, in cui diverse anime possono popolare lo stesso corpo in diversi momenti della sua vita.

Approfondiremo.

Raffaele Yona Ladu

giovedì 2 luglio 2015

Trans-matrimonio annullato in Israele




L'articolo [1] punta al [2], che riferisce questa notizia: all'inizio del giugno 2015 una coppia israeliana si presenta negli uffici del Rabbinato di Gerusalemme per sposarsi; lei è incinta e lui dice di essere il padre; i due chiedono inoltre una modesta cerimonia negli uffici del rabbinato, ed il rabbinato acconsente anche a questo.

Due settimane dopo, si viene a sapere che "lui" non è un uomo cis, ma un uomo trans: nato donna, ha ottenuto la rettificazione sia chirurgica che anagrafica del sesso [a dire il vero, in Israele non è più necessaria l'operazione per il cambio dei documenti], ed a tutti gli effetti giuridici lui è un uomo.

Purtroppo, la legge ebraica ortodossa non riconosce la transizione di genere, per cui il rabbinato si è trovato a celebrare quello che considera un matrimonio tra due donne, anch'esso non consentito - e perciò il matrimonio viene dichiarato nullo.

L'articolo [3] precisa che era stato un cugino della coppia a fare la spia; che la coppia fu convocata, e che negò finché non fu minacciato un test genetico che avrebbe confermato quello che era accaduto.

Che si farà ora? Il Ministero degli Affari Religiosi ha annunciato che spenderà 45 milioni di Shekel (circa 10 milioni di Euro) per computerizzare gli uffici rabbinici, in modo che sia impossibile ripetere questa beffa.

Faccio queste considerazioni:

1. Non si imbroglia la gente così: se sai che non puoi contrarre un matrimonio ebraico ortodosso, non ci devi provare.

2. Purtroppo in Israele non c'è molta scelta: gli ebrei possono sposarsi solo attraverso un rabbino ortodosso, che non celebra matrimoni tra persone dello stesso sesso biologico - e nemmeno tra un ebreo ed un non ebreo.

3. Si può aggirare l'ostacolo recandosi all'estero e chiedendo la trascrizione del matrimonio da parte del Ministero dell'Interno, ma, se la coppia ha chiesto una modesta cerimonia negli uffici del rabbinato, voleva dire che perfino recarsi in Slovenia era per loro impossibile.

4. Ci possono essere altri ostacoli sulla strada di chi vuole sposarsi - per esempio, chi è nato da adulterio od incesto viene considerato un "mamzer = bastardo" e, pur senza sua colpa, può sposare solo altri "bastardi", oppure un convertito all'ebraismo.

5. Altro ostacolo può essere il finire nella lista nera delle adultere (non degli adulteri!) - un pettegolezzo, od un'accusa campata in aria come accade nelle case di divorzio, e ci si trova nell'impossibilità di risposarsi. E la possibilità di farci finire la propria ex-moglie diventa una potente arma di ricatto per il marito che divorzia.

6. La soluzione al problema si chiama separazione della religione dallo stato. Fosse stata implementata nel 1947, avrebbe significato che il rabbinato avrebbe allestito e gestito la propria anagrafe informatizzata a spese dei fedeli disposti a pagare, non del contribuente. E chi finisce in una lista nera, anziché far causa al rabbinato per esserne rimosso (credo che ogni anno ci siano decine di cause del genere), può prendersela con filosofia perché può sposarsi civilmente.

7. Spiace aggiungere che, anche se lo sposo se l'è andata a cercare, si è violato il suo diritto alla privacy. Uno degli scopi della transizione anagrafica è quello di far uscire la persona trans dallo spiacevole obbligo di spiegare la discrepanza tra il proprio abbigliamento ed il proprio genere anagrafico, tra il proprio ruolo sociale ed il proprio aspetto. Le persone cis non sono obbligate a dare queste spiegazioni, e la transizione anagrafica parifica a loro le trans.

8. Per questo le anagrafi civili non rivelano mai il sesso attribuito alla nascita della persona che ha transizionato - però la mancata separazione della religione dallo stato in Israele, con lo stato e la religione che determinano il genere della persona in modo diverso, vanifica questo diritto alla privacy.

9. Non è piacevole per un uomo trans sentirsi dire: "Per quanto tu abbia tribolato, per noi sei e sempre sarai una donna cis!" Se si tratta di passanti, uno può scrollare le spalle; se si tratta delle persone a cui lo stato dà il potere di scegliere se e con chi sposarsi, al dolore ed all'umiliazione non si può sfuggire.

10. La cosa più grottesca è che il contribuente si trova a pagare un ministero (quello dell'Interno) perché occulti dei dati sensibili, ed un altro (quello degli Affari Religiosi) perché li sveli. I rimedi proposti eliminerebbero la contraddizione.

Raffaele Yona Ladu
Lesbica pene-positiva

sabato 13 giugno 2015

Transgender, transrazziale e transetnico


Dopo il caso Caitlyn Jenner, negli USA è scoppiato il caso Rachel Dolezal, la responsabile della sezione di Seattle, WA, della NAACP, che per diverso tempo si è dichiarata "nera", finché i suoi genitori non l'hanno invece pubblicamente dichiarata "bianca".

Come potete constatare nel sito della NAACP, tra gli stessi fondatori dell'organizzazione c'erano dei bianchi, quindi il problema non è la presunta "razza" di Rachel Dolezal, quanto il modo in cui si è identificata con la "razza nera" e lo ha pubblicamente dichiarato (anche falsificando dei documenti e simulando minacce mai pervenute, secondo [2], e questi sono dei reati).

Molte persone di colore si sono risentite (tant'è vero che Lunedì 15 Giugno 2015 Rachel Donezal si è dimessa da responsabile della sezione di Seattle della NAACP), con diverse motivazioni.

La prima è l'appello a non paragonare le persone transgender con le persone transrazziali: il termine transrazziali indica in sociologia le persone che hanno varcato le barriere della "razza" loro malgrado, in quanto persone di colore (non solo afroamericane - spesso anche asiatiche) adottate da famiglie bianche.

Non sono quindi persone che hanno valicato volontariamente la barriera razziale, e le dinamiche tra genitori adottivi bianchi ed adottati di colore hanno spesso portato loro grande sofferenza.

In molti casi, i genitori adottivi bianchi hanno esibito la loro scelta di adottare persone di colore come uno "status symbol", la prova della loro grande generosità, ma non era loro possibile inserire i loro figli nella cultura da cui provenivano, e spesso non la stimavano nemmeno - delle persone transrazziali ricordano che i loro genitori adottivi li rimbrottavano dicendo: "Ringrazia noi, ché alrimenti avresti mendicato, fatto del lavoro minorile, o la prostituta bambina!"

Per giunta, la società americana non concepisce la possibilità di "cambiare razza", e questo ha fatto di loro degli sradicati; quest'impossibilità di "cambiare razza" è la seconda motivazione per non paragonare le persone transgender con quelle transrazziali.

Quest'impossibilità è stata motivata in diversi modi; chi ha fatto ricorso ad argomenti biologici, chi ha, come Shiri Eisner, più intelligentemente osservato che in America il bianco che passa da persona di colore non perde i privilegi del bianco, mentre la persona di colore che passa da bianco viene duramente punita se scoperta - la miglior prova che la società americana non concepisce la possibilità di cambiare "razza".

Un paragone alquanto ingeneroso, ma non del tutto insensato, è con la legislazione razziale nazista: è difficile pensare che durante il nazismo un gentile volesse convertirsi all'ebraismo, ma per i nazisti questa "Willenserklärung = Declaratio Voluntatis" sarebbe stata irrilevante, in quanto non gli avrebbe fatto perdere la sua "arianità", stabilita esclusivamente con criterio genealogico.

Invece la donna transgender (anche in Italia, è stato riscontrato) perde i privilegi dell'uomo, e l'uomo transgender li acquisisce in parte; un argomento interessante sull'impossibilità di varcare sia le barriere "razziali" che quelle etniche e di genere l'ho trovato in [1] - purtroppo, non mi convince.

Il problema mi riguarda in quanto lesbica transgender da una parte, ebrea per conversione/adozione dall'altra; posso essere una trans ed una convertita solo se ritengo possibile valicare le barriere di genere ed etnia, ma le argomentazioni in [1] sono a favore della loro invalicabilità.

La tradizione ebraica è piuttosto variegata, a seconda dei tempi, dei luoghi, e delle denominazioni, ma il punto comune è che un gentile (di ogni genere) ebreo lo può diventare - perciò le argomentazioni di [1] in ambito ebraico non verrebbero accolte.

Da un punto di vista antropologico-culturale, ritengo opportuno osservare che ogni cultura deve essere trasmessa da una generazione all'altra, e che una persona viene dichiarata adulta quando ne ha assimilato abbastanza da trasmetterla alla generazione successiva - che contribuisce ella stessa magari a generare fisicamente.

La costruzione di una cultura può richiedere secoli, ma la sua trasmissione da una generazione all'altra non può richiedere più di due decenni; quindi, se è possibile fare dei nati della propria etnia degli adulti, che cosa impedisce di integrare degli estranei in essa? La tradizione ebraica sull'etnia è molto più intelligente della concezione americana della "razza".

Allo stesso modo si può argomentare per il genere: molte femministe "trans-esclusive" fanno di tutto per impedire che le donne trans vengano considerate donne tout-court, argomentando in modi alle volte anche volgari (per esempio, Germaine Greer ha detto che una donna trans non avrà mai la profumata vulva di una donna cis); quando non vogliono essere volgarmente biologistiche, affermano che la "socializzazione" che subiscono le donne fin dalla nascita è diversa da quella che subiscono gli uomini, e questo renderebbe a loro giudizio irriducibile l'esperienza di una donna trans a quella di una donna cis.

Invece tutto si può imparare, e quindi una donna trans che sviluppi un'identità di genere femminile può interpretare in modo convincente (per quanto non viene limitata dal suo corpo di origine maschile) un ruolo ad essa conforme.

Il caso di David Reimer non è pertinente: questi era stato trasformato in femmina a suo dispetto - e questo fa la differenza rispetto alle persone trans che vogliono spontaneamente cambiare genere.

Raffaele Yona Ladu



P. S.: Il 17 Giugno 2015 Rachel Dolezal, come dice ad esempio [3], ha fatto il coming out da bisessuale. Alcuni attivisti bi si sono arrabbiati ed hanno dichiarato: "Non è vero!", io penso che, se ci ispiriamo a David Ben Gurion e diciamo che "chiunque sia abbastanza meshugge = pazzo da dichiararsi bisessuale è bisessuale", non possiamo che crederle sulla parola, tantopiù che il suo coming-out equivale ad affermare che nemmeno nel campo del desiderio ci sono barriere invalicabili, e concorda perciò con il suo poco apprezzato tentativo di varcare le barriere della razza.

giovedì 11 giugno 2015

SSOGIEs




Nel quadro di [0], ho incontrato Surat-Shaan Rathgeber Knan, che lavora per [1], che ha consigliato di sostituire, in alcune situazioni (preciso io), la sigla LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bi, Trans, Queer, Intersessuali, Asessuali, ecc.) con "SSOGIEs = Sexes, Sexual Orientations, Gender Identities and Expression = Sessi, Orientamenti Sessuali, Identità ed Espressioni di Genere", per non continuare ad allungare la sigla LGBT*, a rischio oltretutto di dimenticare qualche gruppo, tra cui gli eterosessuali, alle volte anche loro vittime di oppressione (per esempio, quando le attiviste nubili per la democrazia in Egitto sono state sottoposte a visita ginecologica, perché i militari volevano il pretesto per accusarle di prostituzione - perché la legge egiziana vieta i rapporti sessuali prima e fuori del matrimonio).

L'idea è venuta all'organizzazione [2], dopo due settimane di dibattito. Mi pare utile adottarla, sempre in situazioni particolari, magari usando per il momento la doppia sigla LGBT*/SSOGIEs, per chi non conosce la nuova.

Le situazioni particolari in cui è meglio parlare di SSOGIEs sono quelle in cui si riuniscono tutte le vittime di oppressione per motivi sessuali, ed esse lottano insieme per la libertà sessuale - in quel caso l'inclusività vale assai più dell'identità.

Ma le "vittime" non sono tutte uguali e non sono solo oggetti passivi - ogni lettera della sigla LGBTQIA+ indica un diverso modo in cui si è oppressi, ed un diverso modo di reagire all'oppressione creando un'identità sociale distinta.

L'agglutinare tali sigle ha il significato politico di riconoscere che diversi gruppi minoritari si riconoscono a vicenda come esistenti (lesbiche e bisessuali, per esempio, si lamentano spesso della loro invisibilità) e dotati di interessi comuni da perseguire insieme.

Rinunciare alla sigla LGBTQIA+ significa disperdere tutto questo, e sarebbe un vero peccato.

Occorre quindi stabilire ogni volta quando usare la sigla SSOGIEs e quando LGBTQIA+ - contro le "Sentinelle in Piedi" la sigla SSOGIEs mi pare estremamente opportuna, perché il loro attacco non è solo contro gli omosessuali ed i trans, ma contro chiunque loro considerino sessualmente deviante, comprese le donne etero cis a cui i ruoli di genere catto-reazionari proprio non piacciono!

Raffaele Yona Ladu

giovedì 4 giugno 2015

Bruce o Caitlyn?




Caitlyn Jenner
La foto di Caitlyn Jenner (già nota come Bruce Jenner) scattata da Anne Leibovitz e pubblicata in [1] ha scatenato una ridda di commenti anche in ambito ebraico, tra cui è interessante quello in [2].

Lì il giornalista Sigal Samuel racconta di come rav Eliyahu Fink ha commentato la vicenda citando il Mishneh Torah di Maimonide, il quale diceva che ci sono dei peccati che non sono gravi, ma l'indulgervi priva l'ebreo della sua parte di Paradiso.

E questi peccati sono:
  1. Escogitare per il proprio amico un nomignolo che lui trova offensivo;
  2. Chiamare il proprio amico con un nome che lui trova offensivo;
  3. Mettere pubblicamente in imbarazzo il proprio amico.

Non tutti gli ebrei concordano con Fink - molti hanno obiettato, ad esempio, che queste norme hanno valore giuridico solo nei confronti degli altri ebrei, quindi una non ebrea come Caitlyn Jenner, secondo il diritto ebraico, è alla mercé della benevolenza del parlante.

Fink ha voluto ribattere che, anche se nel caso di Caitlyn Jenner la norma ha solo valore etico e non giuridico, cionondimeno esprime un principio importante, quello del rispetto, che vale anche quando la legge ad esso non ha voluto conformarsi.

Potrei aggiungere che la legge ebraica indica il minimo, non il massimo etico, e che ognuno deve aspirare al meglio.

Raffaele Yona Ladu

mercoledì 3 giugno 2015

Bagni e spogliatoi

Una delle prime cose che ci si chiede quando si ha a che fare con le persone transgender è: “In quale bagno pubblico le mandiamo?”

Prima di rispondere, conviene rendersi conto che la risposta non è così semplice nemmeno per le persone cis.

Prendiamo ad esempio quello che accadeva nel Marocco dell’infanzia e dell’adolescenza della scrittrice Fatima Mernissi.

A Fez, la sua città, c’era ovviamente (ed immagino che ci sia ancora) l’hammam, il bagno turco, diviso tra uomini e donne.

Ma la scrittrice ci avverte che i bambini entravano nella sezione femminile, nudi in mezzo alle donne nude di tutte le età.

Quand’è che si decideva che era ormai il caso di mandarli in mezzo agli uomini adulti?

Quando alla curiosità infantile si era ormai sostituito il desiderio adulto.

Fatima Mernissi ricorda che un giorno una frequentatrice del bagno turco si lamentò che suo fratello [quello della scrittrice] era stato portato in mezzo alle donne, sebbene egli non fosse più un ragazzo.

Egli infatti, affermava quella donna, stava guardandole il seno proprio come glielo guardava suo marito.

Il ragazzo ribatté con una battuta irriverente che fece ridere tutte quante, ma da quel momento in poi non entrò più nella sezione femminile.

In Italia, invece, che accade?

Non ho mai frequentato una sauna o bagno turco; so quello che accade nelle piscine pubbliche, che un tempo frequentavo assiduamente.

Lo spogliatoio femminile è assolutamente tabù per gli esseri pene-positivi; quello maschile è aperto agli esseri vulva-positivi, purché validamente giustificati.

La tipica giustificazione è quella della mamma o della nonna che accompagna il figlioletto od il nipotino nello spogliatoio maschile.

Altra giustificazione è quella del babbo che porta la figlioletta in piscina, e sa che non la passerebbe liscia se entrasse con lei nello spogliatoio femminile.

Non mi è mai capitato di vedere addetti alle pulizie maschi nelle piscine che frequentavo, e le addette femmine entravano anche negli spogliatoi maschili, durante l’orario di apertura, sapendo che potevano anche incontrare un uomo che si faceva la doccia nudo – cosa vietata, ma non infrequente.

Il confronto è molto istruttivo: nel Marocco della Mernissi, la segregazione è per generi; nelle piscine italiane che ho frequentato, è per sessi.

In Marocco, finché non si chiede al ragazzo di comportarsi come un uomo adulto, lo si fa entrare tra le donne dell’hammam; è solo quando il ragazzo mostra una caratteristica adulta (il desiderio) anziché infantile (la curiosità), che ci si rende conto che lui deve ora stare fra gli uomini per essere educato da loro.

E, che io sappia, la shari’a prevede che il bimbo venga educato dalla mamma fino a sette anni; poi viene circonciso ed affidato al babbo.

In Italia il problema è la “fallofobia”: più che di spogliatoi maschili e femminili, si dovrebbe parlare di spogliatoi pene-positivi e pene-negativi. Il corpo maschile viene considerato pericoloso e va contenuto in appositi spazi, in cui talvolta può far capolino anche il corpo femminile.

Poiché la segregazione tra uomini e donne viene praticata in modo diverso a seconda dei luoghi e dei tempi, direi che risponde ad esigenze culturali, e può tranquillamente adeguarsi al mutare delle situazioni.

La segregazione tra i sessi è particolarmente umiliante per le persone transgender, in quanto viene loro bruscamente rammentato che la loro identità di genere non ha alcuna importanza, e vengono costretti a classificarsi in base ad una caratteristica che non hanno scelto ed attualmente è molto difficile mutare.

Nei paesi più evoluti si usano cabine chiuse, cosicché la segregazione diventa superflua, e si appendono cartelli come questo:

Raffaele Yona Ladu

mercoledì 27 maggio 2015

Il Tenente Shachar, il primo ufficiale israeliano transgender (FtM) dichiarato




Consiglio di leggere l'articolo (non appena avrò tempo lo tradurrò in italiano), pubblicato il 17 Maggio 2015, in tempo per l'IDAHOBIT (Giornata Internazionale contro l'Omofobia, la Bifobia e la Transfobia).

Quello che posso riassumere ora è che il tenente Shachar ha cominciato il servizio militare come donna, ma si è poi reso conto che, per avere la fiducia dei soldati che doveva comandare, doveva essere onesto con loro, ed allora ha deciso di fare il coming-out, rivelandosi come transgender FtM.

Lui dice che si sentiva uomo già dall'età di due anni, a sedici anni sapeva come chiamare questo sentimento, e che al momento dell'arruolamento tutte le persone significative lo sapevano - era solo una questione di tempo l'emersione di questo anche nella vita militare.

Va detto che, al contrario di molte altre forze armate che ritengono la disforia di genere motivo sufficiente per riformare una recluta, le forze armate israeliane fanno di tutto per venire incontro alle esigenze dei soldati transgender.

Nel caso del tenente Shachar, gli hanno consentito di indossare sempre l'uniforme da combattimento (che è unisex in Israele), di fare la doccia in ore diverse da quelle dei commilitoni, per non esporlo a situazioni incresciose, e gli pagano perfino la cura ormonale prescritta dall'endocrinologo.

Se egli volesse, gli pagherebbero pure la rettificazione chirurgica del sesso, ma il tenente Shachar non la vuol fare; poiché in Israele non è più necessaria (vedi [2]) per il cambio del nome e del genere anagrafico, lui, cosa incomprensibile per i binaristi nostrani, nel futuro prevedibile avrà un sesso femminile ed un genere maschile.

Una volta si era pure lamentato con una dei suoi ufficiali superiori del fatto che lo chiamavano sempre con il nome anagrafico [femminile], anziché con quello maschile che si era scelto. L'ufficiale sulle prime aveva risposto che la norma in quella base era che ognuno veniva chiamato con il nome anagrafico, e Shachar non aveva insistito, ma qualche mese dopo si era deciso di cambiare la norma e di consentire agli ufficiali di chiamare i soldati con il nome che si erano scelti, se questo li faceva stare meglio.

Come commenta l'articolo,
Le persone transgender sono una parte speciale della società per le quali vale la pena combattere. Può sembrare complicato, ma non lo è – è una scelta morale, una scelta morale che le Forze di Difesa Israeliane hanno fatto quando hanno scelto di definirsi come l’esercito della nazione. Non c’è motivo di non arruolare delle magnifiche persone solo perché richiede alcune modifiche al sistema.
Il tenente Shachar si trova ora ad essere "consulente non ufficiale per le questioni transgender" delle Forze di Difesa Israeliane, perché continua a ricevere richieste di aiuto e consulenza da parte di soldati ed ufficiali alle prese con questo problema, e, d'altro canto, è sempre pronto a parlare con i media della sua esperienza per incoraggiare anche altre persone ad uscire allo scoperto.

Né lui né la Consulente per le Questioni di Genere dello Stato Maggiore, il Generale di Brigata Rachel Tevet-Weisel (vedi [3]) pensano di aver sradicato l'omofobia e la transfobia (della bifobia si sono dimenticati, e per questa volta pazientiamo!) dalle Forze di Difesa Israeliane, ma il tenente Shachar dice che perlomeno i transfobi ora si tengono la loro transfobia per sé.

Ed il programma che le Sentinelle in Piedi non vogliono si faccia nelle scuole italiane, per insegnare ad accogliere le persone LGBT, fa in Israele parte del curriculum dell'accademia militare.

Le politiche di inclusione delle persone LGBT nelle Forze di Difesa Israeliane non sono semplici raccomandazioni, sono ordini di servizio; ogni base militare ha un(a) rappresentante della Consulente per le Questioni di Genere, e se un(a) soldat* ritiene che ci sia un problema relativo al suo orientamento sessuale od identità di genere, può parlare con quel(la) rappresentante, che negozierà una soluzione insieme con il/la su* comandante.

Orientamento sessuale ed identità di genere non devono essere un problema per le Forze di Difesa Israeliane, e la Consulente per le Questioni di Genere interviene quando l'obbiettivo non viene raggiunto.

Am Yisrael Chai
Raffaele Yona Ladu

mercoledì 20 maggio 2015

Matrimonio egualitario o transizione senza operazione?





Ammetto che l'incontro [1] mi ha parecchio colpito, tant'è vero che gli ho dedicato i commenti [2] e [3], e ad essi aggiungo questo post.

Il giurista Gianluca Sgaravato, come ho scritto in [3], ha espresso posizioni pregevoli, ma in due cose importanti sono in disaccordo con lui:
  • per lui il matrimonio è solo tra uomo e donna, e non approverebbe un'"unione civile" che fosse lo specchio del matrimonio, cioè un matrimonio sotto altro nome;
  • per lui la transizione anagrafica di una persona trans* deve essere obbligatoriamente preceduta dalla rettificazione chirurgica.
Mi sono detto allora: "Supponiamo che io possa convincere una persona così a cambiare una di queste due concezioni; quale sceglierei?"

Le organizzazioni LGB preferiscono normalmente puntare sul matrimonio egualitario, io mi allineo con le organizzazioni T, che preferiscono la transizione senza operazione.

La persona che desidera transizionare, secondo la maggior parte dei tribunali italiani, deve sottoporsi ad un intervento chirurgico che la rende sterile; la gravità della lesione è evidente (tantopiù che, anche se la legge italiana consente la crioconservazione di ovociti e spermatozoi, non consente la maternità surrogata, che sarebbe l'unica possibilità di usare codeste cellule germinali per una persona che ha subìto la rettificazione chirurgica del sesso), e la costruzione di un'imitazione dei genitali del sesso opposto è cosa tanto delicata che spesso riesce male.

La conseguenza più comune (nella metà dei casi circa) è la perdita della capacità orgasmica; spesso inoltre si rende il paziente incontinente, e si creano magari delle fistole imbarazzanti e dolorose.

In Italia la situazione è peggiorata dal fatto che ogni chirurgo è autorizzato a compiere operazioni siffatte, senza bisogno di dimostrare di esserne all'altezza, mente nel Regno Unito concentrano tutte le operazioni di rettificazione chirurgica del sesso al Charing Cross Hospital - la sua équipe medica si è perciò specializzata ed ha imparato a minimizzare gli inconvenienti.

E che succede dopo l'operazione, anche se è ben riuscita? Una donna trans, cioè una persona nata maschio ed è voluta diventare femmina, che ha acquisito una  "neovagina", deve infilarle dentro tutte le sere un dilatatore per impedire che essa pian piano si rattrappisca.

Di meglio i medici non riescono ancora a fare; se una persona vuole davvero un corpo dell'altro sesso, mi pare giusto darglielo dopo aver ottenuto il suo consenso informato - ma se ritiene che non ne valga la pena, non mi pare il caso di costringerla a scegliere tra dissimulare la propria identità di genere e subire un'operazione indesiderata.

La mancanza di matrimonio egualitario è per me una forma di discriminazione, che priva ingiustamente la persona della chance di sposarsi (vedi [4]), e quindi procura danno emergente, non solo lucro cessante - va eliminata al più presto.

Ciononostante, la ritengo meno grave, e più facilmente risarcibile, dell'obbligare una persona a subire un'operazione devastante che spesso si conclude peggio del previsto.

Inoltre, è anche strano che molte persone che si adirano (giustamente) per le mutilazioni genitali femminili non muovano un dito per eliminare il requisito dell'intervento chirurgico per la riassegnazione anagrafica del sesso, o per vietare le operazioni non urgenti sui bimbi intersessuati.

Nel 1982 la legge 167 servì a regolarizzare le persone che avevano subìto la riassegnazione chirurgica del sesso; ora si nota che ha fatto emergere un aspetto nefasto dell'archetipo della Grande Madre.

Quest'aspetto lo si nota soprattutto nel culto di Cibele (cfr. "Corpi ad arte. La Drag Queen e l'illusoria consistenza del genere / Donatella Lanzarotta // pp. 34-35), che esigeva sacerdoti eunuchi (ne parla anche Catullo, ad esempio nel suo Carme #63), in quanto si identificavano con il figlio di lei Attis, che si era evirato dopo aver commesso incesto con lei.

Cibele non è solo una dea della fertilità; impone anche un ordine alla natura, e spesso provoca delle trasgressioni per riaffermarlo reprimendole - mi pare il caso di Attis, che non sarebbe riuscito a giacere con la "magna dea, Cybebe, dea domina Dindymi" se ella non lo avesse sedotto.

La legge italiana si comporta come Cibele: solo le persone cis, che rispettano il presunto ordine della natura, possono generare e godere; le persone trans devono rimanere ai margini della società, consacrandosi ad un culto che non giova a nessuno.

Raffaele Yona Ladu

lunedì 27 aprile 2015

Arnesi da uomo e vestiti da donna

C'è nella Bibbia ebraica il divieto di indossare abiti non conformi al proprio genere (Deuteronomio 22:5 - la traduzione è dell'ebreo Shmuel David Luzzatto, detto Shadal, e risale al 1878; chi preferisce più moderne traduzioni cristiane, si serva pure qui):
.לֹא-יִהְיֶה כְלִי-גֶבֶר עַל-אִשָּׁה, וְלֹא-יִלְבַּשׁ גֶּבֶר שִׂמְלַת אִשָּׁה:  כִּי תוֹעֲבַת יְהוָה אֱלֹהֶיךָ, כָּל-עֹשֵׂה אֵלֶּה 
Non sia arnese [kli] da uomo [gever] indosso a donna [ishah], né vesta un uomo abito [simlat] da donna [ishah]; poiché in abbominazione [to'evah] al Signore, Iddio tuo, è chiunque fa di tali cose. 
Ho riportato tra parentesi quadre i termini ebraici usati qui per designare l'uomo [gever] e la donna [ishah], perché, se prendiamo per buono il suggerimento di Gianfranco Ravasi qui esposto, quei termini indicano il genere della persona, non il suo sesso; quindi il divieto, se va preso alla lettera, va osservato in rapporto alla propria identità di genere.

Un autore cristiano dà un'interessante, ma eteronormativa disamina del brano biblico; questi osserva che la parola ebraica kli (quella che Shadal traduce appropriatamente con "arnese") non indica semplicemente un indumento, ma uno strumento (altrove indica anche un vaso - questo spiega espressioni del latino della Vulgata come "vasa iniquitatis" [Genesi 49:5],"vas electionis" [Atti 9:15], etc.).

Nella sua interpretazione il divieto è quello non tanto di vestire una donna con abiti da uomo, ma di mettere in mano ad una donna strumenti di lavoro maschili - tra cui le armi, in quanto la parola gever (che pure nell'ebraico contemporaneo può indicare anche un vecchio infermo e claudicante) indica letteralmente il guerriero nel massimo del vigore.

L'uomo invece non può vestire abiti da donna perché, secondo l'eteronormativo James Gunn (un'osservazione simile fa Maimonide), questo era il comportamento dei sacerdoti di Astarte, che si vestivano da donna per darsi alla prostituzione sacra - la già citata Nuovissima Versione della Bibbia dai Testi Originali, nel commento a quel versetto, accenna brevemente e pudicamente a questo, e con questo motiva ambo i divieti, non solo quest'ultimo.

Le osservazioni di James Gunn sono interessanti, ma inficiate dal fatto che egli programmaticamente ignora la differenza tra l'identità di genere ed il sesso biologico, e non vuole il disallineamento tra quest'ultimo ed il ruolo di genere ricoperto.

I rabbini hanno diverse opinioni: se la Chabad stila una casistica sui limiti del cross-dressing (per esempio, una donna può indossare un cappotto da uomo per difendersi dal freddo), per l'American Jewish World Service, il problema non è adeguare gli abiti al ruolo di genere, bensì impedire che un uomo travestito da donna possa violare l'intimità delle donne - quando non c'è quest'intento o pericolo (come ad esempio a Purim), il "travestimento" è lecito.

Questo è lo status questionis anche per The Oxford Encyclopedia of Bible and Gender Studies: la parola ebraica to'evah (che Shadal traduce come "abbominazione") allude ad un comportamento sessuale proibito, e la quasi totalità delle fonti rabbiniche intende con esso appunto il rischio che un uomo, travestendosi da donna, possa estorcere od avere consensualmente rapporti sessuali illeciti con donne (solo rav Yochanan allude alla possibilità di incontri omosessuali).

Quindi, a lume di Talmud, il cross-dressing è di per sé lecito. Gli ebrei transgender tirano un sospiro di sollievo.

Raffaele Yona Ladu

sabato 25 aprile 2015

Inizio

La tunica di Giuseppe?
Dalla Havurà umanistica Non è in cielo vorrei far gemmare un gruppo di persone transgender, di ispirazione ebraica.

Non è necessario che le persone transgender del gruppo siano ebree: tutt* sono bene accett*, con pari dignità e diritti, ma occorre un minimo riferimento alla cultura ebraica.

Credo di averlo trovato in Genesi 37:3 (Parashat Vayeshev - 'Aliyah 1):

וְיִשְׂרָאֵל, אָהַב אֶת-יוֹסֵף מִכָּל-בָּנָיו--כִּי-בֶן-זְקֻנִים הוּא, לוֹ; וְעָשָׂה לוֹ, כְּתֹנֶת פַּסִּים.

L'ebreo Shmuel David Luzzatto, detto Shadal, nel 1878 così tradusse il brano (chi preferisce più moderne traduzioni cristiane si serva qui):
3 Israel poi amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, siccome quello ch'era per lui un figlio della vecchiaja; e gli fece una veste [ktonet] talare [pasim].
Il riferimento trans-ebraico sta nel fatto che la locuzione ebraica ktonet pasim (vi spiegherò poi perché ho preferito tradurre "tunica sfiziosa") ricorre, oltreché in Genesi 37 (in cui indica sempre la tunica data da Giacobbe a Giuseppe), solo in un altro capitolo della Bibbia - 2 Samuele 13.

Vi mostro il versetto 18 (qui ho copiato la traduzione della Nuova Riveduta, perché non avevo a disposizione una traduzione ebraica fuori diritti - chi vuole una raccolta di traduzioni cristiane guardi qui):
18 וְעָלֶיהָ כְּתֹנֶת פַּסִּים, כִּי כֵן תִּלְבַּשְׁןָ בְנוֹת-הַמֶּלֶךְ הַבְּתוּלֹת מְעִילִים; וַיֹּצֵא אוֹתָהּ מְשָׁרְתוֹ הַחוּץ, וְנָעַל הַדֶּלֶת אַחֲרֶיהָ
Lei portava una tunica con le maniche [ktonet pasim], perché le figlie del re portavano simili vesti finché erano vergini. Il servo di Amnon dunque la mise fuori e le chiuse la porta dietro. 
Come potete vedere, ktonet pasim designa qui un abito da principessa; e la Nuovissima Versione della Bibbia dai Testi Originali delle Edizioni San Paolo. nel commento a Genesi 37:3, non solo traccia il parallelo con 2 Samuele13:18-19, ma osserva che negli elenchi dei vestiari assiro-babilonesi, una simile tunica era prerogativa delle dee.

E com'era fatta questa veste? Qui c'è un'ambiguità: se tutti concordano che ktonet vuol dire "tunica" (cfr. il greco chiton; l'italiano cotone viene da una radice araba simile, ma non uguale), la parola pas (pasim ne è il plurale) è interpretata nei modi più vari, da ebrei e cristiani (vedi [a] e [b], per cominciare).

Io preferisco l'interpretazione che ne ha dato la Settanta (ed è la più diffusa, ma non l'unica, tra gli ebrei), che ha tradotto pasim con poikilos = variopinta, ed in base a questo ho scelto l'illustrazione; del resto, essa corrisponde anche all'uso ebraico contemporaneo: l'israelian* che va dal(la) parrucchier* e gli/le chiede "pasim", vuole le mèches.

Non me la sentivo però di imporre quest'interpretazione a tutti i lettori del blog (anche l'interpretazione "con le maniche [lunghe]" è ben argomentata), e me la sono cavata traducendo "tunica sfiziosa", trattandosi certamente di una ricca veste per una persona di alto rango.

La Bibbia dice che questa veste suscita l'"invidia" e l'"odio" dei fratelli, in quanto era evidente la preferenza del babbo per un figlio solo; però il libro Transpeople: Repudiation, Trauma, Healing / Christopher Acton Shelley avverte che potentissimo motore della transfobia è proprio l'invidia, in quanto le persone cisgender possono convincersi che le persone transgender godano del piacere proibito (jouissance - che Lacan definisce come "la convinzione che gli altri se la spassino a nostre spese, ed è questa convinzione che suscita il desiderio di nuocere ad altri") di cambiare corpo a piacimento.

Non ho ancora controllato se altri si sono resi conto che Giuseppe potrebbe essere stato la prima vittima della transfobia nella Bibbia; però Rashi, interpretando il Talmud (per la precisione, bSotah 13b) scrive che Putifarre, il funzionario del Faraone che comprò Giuseppe, ne volesse fare uno schiavo sessuale.

Chi dà retta a Rashi (quasi tutti gli ebrei) ritiene che Putifarre provasse desiderio omosessuale; e se invece fosse stato attratto dall'identità di genere femminile di Giuseppe, e non solo dal suo aspetto femmineo?

L'autore del libro Strange Flesh : The Bible and Homosexuality / Steve Wells, a giudicare dal brano qui citato, interpreta invece il comportamento di Giuseppe come omosessuale, ed il malfidente ritiene che Giuseppe avesse rifiutato la moglie di Putifarre proprio perché non gli piacevano le donne!

L'ipotesi non mi convince: sia i midrashim ebraici (Sefer ha-Yashar) che gli ahadith islamici (che spesso, avvertiva Shlomo Dov Goitein, attingono a midrashim che gli ebrei non hanno più trasmesso), pur non mettendo in dubbio che Giuseppe abbia infine detto di no, hanno molto ricamato sui sentimenti tra Giuseppe e la moglie di Putifarre (chiamata da loro Zuleikha), ed i mussulmani ne hanno fatto una delle storie d'amore più belle della loro cultura - chi ricorda la storia di Tristano ed Isotta imparata a scuola non se ne stupisce.

Credo inoltre che proprio l'osservazione dell'autore sul fatto che Giacobbe, di tutti i suoi nipoti, abbia benedetto in punto di morte solo i figli di Giuseppe, Efraim e Manasse, come se Giuseppe non ne fosse stato il padre, ma una madre surrogata che li aveva concepiti per conto di Giacobbe, indirizzi i sospetti più verso la transessualità che verso l'omosessualità - e la transessualità, come la cissessualità, è compatibile con ogni orientamento sessuale.

L'ipotesi puo sembrare insensata, ma va osservato che le 12 tribù di Israele prendono tutte il nome da un figlio di Giacobbe; però non esiste la tribù di Giuseppe, bensì le tribù di Efraim e Manasse. Levi non conta come tribù, perché i suoi discendenti non occupano un territorio stabilito, ma vivono in 48 città disperse tra le altre tribù (Numeri 35:1-6; Giosuè 21), esercitando il sacerdozio.

Inoltre, c'è un brano biblico, Deuteronomio 22:5, che esamino qui in maggior dettaglio, che vieta di far indossare ad un uomo [gever] un vestito da donna [ishah].

Come è stato osservato anche qui, le parole ebraiche ish/gever ed ishah non indicano i sessi biologici, maschile e femminile rispettivamente (si sarebbero altrimenti usate le parole zakar = puntuto per il maschio, e neqevah = fessurata per la femmina), ma i loro generi. L'autore biblico la sapeva più lunga degli omofobi, bifobi, transfobi che nella loro ignoranza vogliono strumentalizzarlo!

Se Giuseppe ha un'identità di genere femminile, non ha violato un comandamento biblico Giacobbe dandogli una sfiziosa veste da donna. È vero che Giacobbe ha certamente violato un altro divieto biblico (Levitico 18:18), sposando due sorelle (Lia e Rachele), ma eviterei di pensare che lui li violi per abitudine - quando sembra violarne uno, è bene chiedersi se lui non sapesse una cosa che noi non sappiamo.

Quando si va a caccia di interpretazioni esoteriche, è bene rivolgersi alla qabbalah, pur sapendo che le iniziative di molte organizzazioni ebraiche per divulgarla non la rendono più facile da capire e meno facile da fraintendere.

Giuseppe è identificato con la Sefirah di Yesod; essa è nell'asse mediano dell'Albero delle Sefirot, e quindi è androgina, tant'è vero che, secondo il qui citato Yitzchaq Luria, essa è una di quelle che riconciliano le Sefirot di Gvurà (maschile) e Chesed (femminile).

Yesod rappresenta l'organo della generazione, e quasi tutti pensano al membro; in realtà, rappresenta benissimo anche l'utero, altrettanto essenziale per il comandamento dell'"essere fecondi e moltiplicarsi",

E il sopra citato Yitzchaq Luria osserva che, gematricamente, la parola "yesod" ha lo stesso valore di due "mem clausum", che egli identifica con gli uteri delle mogli di Giacobbe, Rachele e Lia.

Forse Giuseppe va condiderato la madre di Efraim e Manasse, concepiti incestuosamente insieme con Giacobbe?

Se Giuseppe è lo Yesod, ed in questa forma rappresenta ambo gli uteri della madre Rachele e della comadre Lia, l'ipotesi acquista un minimo di plausibilità, rendendo Giuseppe il primo trans* biblico-cabalistco.

Dovrò fare altre indagini, partendo ad esempio da qui.

Raffaele Yona Ladu



P. S.: All'altra domanda che spesso ci si fa (perché Giuseppe è finito in prigione e non sul patibolo dopo essere stato accusato di tentato stupro dall'indispettita padrona) il Midrash risponde che Putifarre non aveva creduto alla moglie, un miracolo aveva scagionato Giuseppe, perfino lo strappo della veste mostrava che la padrona l'aveva afferrata da dietro, mentre Giuseppe fuggiva, non da davanti mentre lui l'assaliva, come lei aveva dichiarato - ma ciononostante, Putifarre non poteva permettersi di svergognare la moglie, e perciò lo mise in prigione.